Il circo e la farfalla

La vergogna

Cos’è la vergogna ?

La vergogna è una delle emozioni secondarie (quelle emozioni cioè che non compaiono fin dalla nascita); essendo un’emozione della “autoconsapevolezza”, si manifesta dopo i 18 mesi.

Potremmo definirla come il sentimento di sentirsi piccolo, nudo e indegno di fronte allo sguardo dell’altro. E nel momento in cui proviamo vergogna, ci troviamo nell’impossibilità di mantenere il contatto relazionale.

Tutte le situazioni che ci offrono intimità ci espongono al rischio della vergogna, che è più intensa quanta più importanza diamo alla persona che abbiamo di fronte. La vergogna comporta l’impulso a nascondersi, come reazione del sentirsi scoperti, trovati a fare qualcosa che non dovevamo fare; è sentire di non aver fatto ciò che ci si aspettava da noi, ed è quindi legata a sentimenti di debolezza, di imbarazzo, di rottura delle aspettative dell’altro.

Per cosa si prova vergogna?

Si prova vergogna per :

  • per qualcosa che si è fatto,
  • per un aspetto della propria personalità o persona (per i propri pensieri, emozioni, per il proprio corpo); è il tipo di vergogna più doloroso perchè riguarda l’essenza della persona, la sua identità,
  • per ciò che si possiede o non si possiede,
  • per essere stato smascherato,  visto, svelato, contro la propria volontà,
  • per qualcuno che conosciamo o per un parente vicino a noi,
  • e per la vergogna della propria vergogna e di quella altrui,

Come si manifesta la vergogna?

Quando si prova questa emozione, il pensiero è quello di sentirsi inferiori, profondamente giudicati e diversi da come si vorrebbe essere. Si distoglie lo sguardo dall’altro, si ripiega la postura, si volta il viso, si arrossisce, il nostro comportamento esprime la volontà di diventare invisibili. Si sente di di non essere riusciti a raggiungere determinati standard di prestazione, o anche norme e valori, ritenuti indispensabili per avere una buona considerazione di se stessi. A volte il problema della vergogna non è sbagliare, ma voler somigliare ad un modello sbagliato, che non ci rappresenta realmente, ma che vorremmo imitare.
Quindi, il disagio che ne consegue è molto intenso e crea anche un blocco nella comunicazione. La vergogna in sé non è un problema, ma lo diventa il ricorrere continuo di questa esperienza, la profondità del disagio dovuta alla scarsa autostima e l’innescarsi di una sorta di vergogna preventiva (so già che vivrò male una certa situazione). Un’ulteriore aggravante di questa spiacevole esperienza è la reazione delle persone attorno a noi, perchè la vergogna genera reazioni di imbarazzo e disagio anche a chi sta osservando, incrementando le sensazioni negative.

Qual è la funzione della vergogna?

La vergogna ha una funzione autodifensiva: quando ci si sente svalutati o umiliati da figure significative,  la tristezza di non essere accettati quali si è (con le proprie pulsioni, desideri, bisogni, sentimenti e comportamenti) e la paura di essere abbandonati nel rapporto a causa di chi si è, alimentano un abbassamento dell’autostima per aderire alla critica e/o umiliazione ricevuta. Il sé nega anche la rabbia provata (per la ferita dall’altro) allo scopo di mantenere una parvenza di relazione con la persona che ha umiliato (in quanto persona importante). Quando la rabbia è negata e retroflessa un aspetto importante del sé è perduto: il bisogno di essere presi sul serio, con rispetto, e di essere rilevante per l’altra persona e l’autostima è ridotta perché ambedue le funzioni ​​es ed io del sé sono perturbate.

Vergogna e pudore

La vergogna, infine, non va confusa con il pudore, che nasce dalla volontà di non volersi mostrare allo sguardo altrui e di difendere lo spazio personale, verso il quale non necessariamente si provano sentimenti di inadeguatezza. Chi ha pudore non sempre ha vergogna nel mostrarsi, ma semplicemente è una persona che non ama mostrarsi, esibirsi davanti ad altri.

L’Invidia

Cos’è l’invidia?

Innanzitutto l’invidia è un sentimento umano, presente già dall’infanzia, e nessuno di noi ne è privo. Ci sono casi in cui una piccola dose di invidia provata nei confronti di qualcuno può spronarci a migliorare o a prefiggerci un obiettivo, una sfida interiore, e quindi provare invidia può rimanere nei confini dell’accettabilità. Nei casi più gravi è però un sentimento che può pervadere la personalità fino a livelli patologici di pensiero, sentimento e azione.

L’invidia è quel sentimento che scaturisce quando ci si sente sminuiti o inferiori  nel confronto con qualcuno, fino al punto di non poter reggere il confronto e arrivare a svalutare l’altro per riconquistare la propria autostima. Tutto quello che l’altro è, rappresenta, possiede o riesce a fare, porta l’invidioso a sentire l’angoscia e il vuoto per le proprie mancanze, che spesso poi si trasforma in sentimenti di rabbia per la percezione erronea di una sorta di ingiustizia della vita, che può persino arrivare ad alimentare sentimenti di vendetta nei confronti della persona invidiata, che incarna la realizzazione dei nostri desideri irrealizzati.

In sostanza l’ansia avvertita nel confronto si trasforma in rabbia, in astio, in rancore o risentimento; talvolta culmina nell’odio e può generare comportamenti distruttivi, come svalutare nel pettegolezzo la persona agli occhi di molti, soprattutto delle persone più importanti, o addirittura  desiderare di distruggerne la  felicità o sperare che succeda. Così l’invidia diventa un’emozione che genera solo ‘dolore’ sia per chi la prova sia per coloro che la subiscono.

È opportuno ricordare che l’invidia non si esprime solo attraverso l’aggressività e la svalutazione degli altri, ma anche in maniera opposta, passivamente, attraverso l’autocommiserazione, il lamento e il vittimismo, come se le conquiste altrui fossero frutto della buona sorte e le nostre mancanze della sventura. Pertanto possiamo considerare l’invidia un atto di “deresponsabilizzazione”, che agendo in questo modo, privandoci cioè del contatto con i nostri limiti, non ci permette neppure la presa in carico della nostra responsabilità, delle nostre risorse, del nostro potere e delle nostre potenzialità.

Interessante la lettura relazionale  di questo sentimento nella psicoterapia della Gestalt che ne sottolinea la pericolosità dell’annientamento della crescita del Sè:

Per la Gestalt Therapy l’invidia è il blocco o, meglio, l’evitamento di un percorso di consapevolezza di sé e di incontro con l’altro. Invece di assumere i propri limiti, la persona li evita e si concentra sui dati visivi della felicità altrui. Come per tutte le patologie, l’invi­dia è una emozione disfunzionale perché sta ‘al posto di’ altre emozioni positive e di crescita. Dall’accetta­zione dei limiti scaturisce un senso di integrità prima e di pienezza poi: solo il dire a se stessi «Questi sono i miei limiti» fa scoprire potenzialità inesplorate. Evita­re di vedere i propri limiti e le proprie potenzialità ine­splorate provoca un senso di vuoto e di mancanza che l’invidioso cerca inutilmente di placare esasperando l’evidenza visiva nei confronti degli altri e invidiando. L’invidia diventa una patologia dell’incontro. Invece di sentire a livello emotivo e corporeo “la grazia e il mistero” (M. Buber) dell’incontro, ci si lega all’altro con un cordone di rabbia invidiosa.

Harvey (1950)

“Harvey ed io ci sentiamo come riscaldati in quei momenti: siamo entrati come estranei e ci sentiamo fra amici. Ci vengono vicino, si siedono, beviamo insieme, e parlano con noi, ci dicono delle immense terribili cose che hanno fatto, delle immense stupende cose che faranno: le speranze, i rimpianti, gli amori, le avversioni… Tutto immenso, perché nessun uomo porta mai niente di piccolo in un bar.Continua a leggere